Entusiasmo, valori, disciplina, senso di responsabilità: la carriera del nostro vicepresidente Pierpaolo Peraro

Pubblicato da Matteo Lunardi il

Prosegue il viaggio alla scoperta dei maggiori protagonisti della nostra sezione: oggi andiamo a conoscere meglio Pierpaolo Peraro, che oltre a ricoprire il ruolo di vicepresidente è anche membro dell’organo tecnico in veste di designatore dalla juniores alla Seconda Categoria.

Pierpaolo Peraro, da assistente, con l’ex bomber di serie A Dario Hubner

«Il mio percorso inizia da molto lontano – confessa il diretto interessato – Sono diventato arbitro nel 1991, affacciandomi a questa realtà per pura e semplice curiosità. Facevo già parte del mondo del calcio ma a scuola ero uno “scansafatiche” e i genitori mi diedero una sorta di ultimatum per convincermi a dedicarmi completamente allo studio. Fu così che, con mio fratello, decisi di intraprendere questa avventura: diventare arbitro rappresenta una scelta un po’ atipica per un adolescente, ma alla prova dei fatti si è rivelato un viaggio decisamente appassionante. In un battibaleno ti ritrovi a vivere il calcio da una prospettiva del tutto diversa: inizi ad avere tante responsabilità, a dover gestire molte persone anche più grandi di te. Hai la sensazione di dover maturare in fretta e tirare fuori il carattere fin dal primo giorno».
L’ascesa di Pierpaolo è rapida e ricca di soddisfazioni: nel 1993 viene promosso in Regione e inizia una scalata che lo porterà fino in Eccellenza. Nel 2002 uno step di svolta: il passaggio da arbitro ad assistente, che lo porterà alla definitiva consacrazione.
«All’inizio ero un po’ titubante, ma poi mi sono entusiasmato e nel nuovo ruolo sono riuscito a dare il meglio di me stesso. Nel 2004 sono stato promosso in serie D e nel 2008 sono salito nell’agognata CAN PRO, restandoci fino al giugno del 2012. Un’esperienza bellissima, al termine della quale sono rientrato, per raggiunti limiti di età, sotto le direttive sezionali. Avevo ancora voglia di campo, fisicamente mi sentivo bene: così ho continuato ad arbitrare nei campionati giovanili fino al 2018, per poi affrontare e superare l’esame per diventare osservatore».
Il resto è storia recente, con il già citato ingresso nell’organo tecnico della sezione atestina e l’incarico di vicepresidente accettato nel 2020 in concomitanza con l’elezione del nuovo presidente Ilie Rizzato: nel curriculum di Pierpaolo figurano pure diversi anni da membro del Consiglio Direttivo sezionale e da presidente del Collegio dei Revisori.
«Il mondo dell’Aia, specialmente in sezione, è come una grande famiglia. Io e mio fratello siamo stati accolti benissimo sin dal primo giorno, incontrando lungo la nostra strada molte persone che ci hanno aiutato e ci hanno guidato, con professionalità e grande competenza. I ricordi più belli? La prima partita non si scorda mai. Era un campionato provinciale Esordienti, mi sono buttato nella mischia con mille pensieri e altrettante emozioni. Sugli spalti avevo i genitori e i nonni, una giornata memorabile e indelebile. Al secondo posto direi il debutto in C/1, a Crema, nel settembre del 2009: in tribuna c’era il mio designatore, la tensione era alle stelle, ma anche lì andò tutto molto bene».
Cosa significa arrivare ad accarezzare il mondo del professionismo?
«La CAN PRO è la prima porta per accedere tra i “grandi” e ricordo ogni cosa come fosse ieri. Hai la fortuna e l’onore di assaporare il calcio “vero”: l’organizzazione capillare delle partite, il prestigio degli spogliatoi e degli stadi che frequenti, il confronto diretto e ravvicinato con persone che sono nel mondo del pallone da un’intera vita. Ho avuto l’onore di arbitrare Dario Hubner, che pur se a fine carriera era ancora un “mostro”, e di dirigere partite incredibili tra playoff e finali Primavera, incrociando pure campioni emergenti come Mario Balotelli e Sebastian Giovinco. Senza dimenticare le amichevoli precampionato con Inter, Napoli, Lazio, Fiorentina e Parma o altre gare in stadi straordinari come Verona, Genova, Pisa, Trieste o Reggio Emilia».
Qual è il messaggio che, dall’alto della tua esperienza, cerchi di trasmettere alle nuove generazioni?
«Vogliamo far capire loro che nel mondo dell’Aia non esistono porte chiuse. L’arbitraggio ti fa crescere in fretta e maturare prima degli altri: servono spirito di sacrificio, dedizione, disciplina, voglia di arrivare e di non accontentarsi mai. Stiamo facendo di tutto per trasmettere questi valori e i risultati, dopo tanto lavoro, iniziano a farsi vedere. Il ruolo dell’arbitro non è da prendere alla leggera: richiede tempo, sacrificio, disponibilità, allenamento. È il messaggio che vogliamo trasmettere anche ai genitori: diventare arbitro fa bene ai ragazzi, sia nel calcio che nella vita di tutti i giorni».

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