Chiffi: “Alla Serie A non ci ho mai pensato”
Capello biondo, viso sereno e abbronzato, Daniele Chiffi al di là della telecamera ha lo sguardo di chi sa che ha combattuto mille battaglie per essere dov’è: no, non c’è una ricetta per diventare un arbitro di Serie A. “Mi sono avvicinato all’AIA in modo casuale grazie ad un volantino che mio papà ha portato a casa. Io arrivo dall’atletica leggera, ho sempre corso tantissimo anche grazie alla tenacia della mamma (Umberta Contini, già talento in nazionale della velocità nei 100m e 200m e oggi nelle categorie master, ndr). All’inizio senza particolari ambizioni, poi pian piano mi sono reso conto che saper riconoscere i propri limiti è il modo migliore per darsi dei nuovi traguardi. Ad esempio, è molto difficile debuttare in qualsiasi categoria, che sia una gara di giovanissimi, una Serie D o una Serie A: non è semplice applicare il regolamento a qualsiasi livello, perché se è vero che le regole e il gioco è sempre lo stesso cambia la metodologia di applicazione. Sono meccanismi da rodare nel tempo, pertanto è importante affidarsi a persone esperte in grado di educarti e crescerti, di farti capire quando hai sbagliato. Ricevendo troppi complimenti rischi di perdere la fame. Chi ha vissuto certe categorie sa trasmetterti qualcosa in più chiaramente, ad esempio si potranno adottare atteggiamenti e dialoghi diversi con i giocatori a seconda che siano di Promozione o di Serie C.
Poi Chiffi risponde alle domande dei giovani arbitri della Sezione. “Come fai a metabolizzare le critiche degli osservatori anche quando sei convinto di aver fatto una buona prestazione?” “La risposta è l’autocritica: se capisci di calcio sai che hai arbitrato male, non serve che qualcuno te lo dica. Se non lo capisci da solo, bene che ci sia qualcuno esperto e lì appositamente per fartelo apprezzare.” Daniele passa quindi all’aspetto motivazionale nell’affrontare tutte le gare con lo stesso approccio, anche quelle sulla carta meno provanti: “Noi siamo professionisti, quindi non ci è permesso svalutare alcune gare. Se una partita ha meno appeal, ti devi creare l’adrenalina da solo: quando andiamo in campo rappresentiamo tutta l’Associazione, non solo noi stessi”. Com’è stata la ripresa post lockdown? “In realtà per noi CAN è stato relativamente semplice. Noi ci siamo allenati con continuità in attesa di riprendere, e fortunatamente lo stop è stato di pochi mesi. Sono i ragazzi delle categorie dilettanti che hanno fatto più fatica dato che in pratica si sono volatilizzati due anni interi. Il problema principale per noi è stato passare da stadi di decine di migliaia di persone a nessuno: questo sconcerta emotivamente e rende complessa la concentrazione”. L’arbitro sa di calcio? “Deve. Non ha alibi. Più si va avanti nel tempo e più gli arbitri devono imparare di calcio, di tattica e di tecnica. Come facciamo ad evitare errori se non riusciamo ad anticipare gli eventi? Impossibile. Dobbiamo inoltre riconoscere i momenti topici della gara attraverso l’analisi comportamentale dei calciatori. Non è banale”. Ecco, parliamo di rapporto con i calciatori. “Nei campi tosti di provincia la gara la porti a casa in 10 minuti fatti bene: reagisci in maniera corretta col corpo e con il linguaggio e la tua gara è tutta in discesa. Trovate il leader in campo e il gioco è fatto”. Un consiglio per i giovani arbitri? “Ora che le misure restrittive diminuiscono frequentate i poli nazionali. Il confronto diretto con colleghi di categoria superiore non può far che bene”.